Taking photos, writing thoughts down

English

A few years ago, I started taking more photos than I used to. The convenience of having a camera on my phone certainly helped increase the number of photographs I have been taking—carrying bags of cameras, lenses, and batteries is, for most amateur photographers like me, a thing of the past.

Some argue that this change has been negative overall for the "experience": it is much better to get lost "in the moment," it would be better to "forget the camera." They say the primary goal of life is not to collect memories that, if they do not die with us, will die with our grandchildren, but to live experiences to the fullest. The idea is to "get lost," "indulge," and "live." We should have as many of these pleasant moments as possible, and never stop having them, so that we don't look for memories as we grow older, or as our lives change—there is so much abundance to enjoy now, we would tell ourselves.

I used to think the same way: why bother with pictures and writing thoughts and impressions down? Who cares, right? Every existing topic has already been discussed, all the monuments have been photographed, and why take pictures of you and me when we're seeing each other right now, isn't that enough?

Then, a few years ago, I started going back to my past, in my mind and in what I do. I believe this urgency to reflect on the past is experienced by many who, upon reaching full adulthood, feel the burden of life already lived heavier than that of life still remaining.

I often think back to my childhood, my parents and grandparents, and look at the pictures I took or that others took when I was doing what I loved to do. I breathe in those memories, which are mostly cheerful; there is no need to remember what we don't want to remember.

And my life now is made up less of moments floating in the air, events that will not remain, and more of a continuum of life that began with my ancestors, with my family, with my dreams, some of which I have fulfilled and some of which have yet to be fulfilled or will never be fulfilled.

I take pictures, write down my thoughts. The simple act of looking at life, reflecting on life, on what I see, think, imagine or fantasize about, makes my existence more meaningful than it used to be. This happens because when the eye also wants to witness and not just make time slip by, life is enriched, senses heightened, perceptions sharpened, there is a distance between us and events that makes them less annoying, less boring, more fun.
The dictionary has become a long-lost friend who has returned home. In my notebooks, I write down words, ways of describing things and events, and save photos and movies that make me feel something, which I intend to replicate or be inspired by.

James Salter, one of my favorite essayists, wrote:

Latent in me, I suppose, there was always the belief that writing was greater than other things, or at least would prove to be greater in the end. Call it a delusion if you like, but within me was an insistence that whatever we did, the things that were said, the dawns, the cities, the lives, all of it had to be drawn together, made into pages, or it was in danger of not existing, of never having been. There comes a time when you realize that everything is a dream, and only those things preserved in writing have any possibility of being real.

I am still a nobody—who isn’t in the grand scheme of things—but a nobody who now feels he is leaving something more authentic behind.


Italiano

Qualche anno fa ho iniziato a scattare più foto di quanto fossi solito fare. La comodità di avere una fotocamera sul mio telefono ha certamente contribuito ad aumentare il numero di fotografie scattate: portare con sé borse di macchine fotografiche, obiettivi e batterie è, per la maggior parte dei fotografi dilettanti come me, una consuetudine del passato.

Alcuni sostengono che questo cambiamento sia stato complessivamente negativo per l'“esperienza": è molto meglio “perdersi nel momento", sarebbe meglio "dimenticare la macchina fotografica". Dicono che l'obiettivo principale della vita non è raccogliere ricordi che, se non muoiono con noi, moriranno con i nostri nipoti, ma vivere pienamente le situazioni, le giornate, gli accadimenti. L'idea è quella di "perdersi", "abbandonarsi", "vivere". Dovremmo concederci il maggior numero possibile di questi momenti piacevoli—dicono—e non smettere mai di viverli, in modo da non cercare ricordi quando invecchieremo o la nostra vita cambierà: c'è così tanta abbondanza di cui godere ora, diremo a noi stessi.

La pensavo allo stesso modo: perché preoccuparsi di fare foto—mi dicevo—e mettere mano alla penna per scrivere pensieri e impressioni? Chi se ne importa, no? Ogni argomento esistente è già stato discusso da qualcuno, tutti i monumenti sono stati fotografati da sotto, sopra e di lato, e perché fotografare me e te quando ci stiamo vedendo in questo momento, non è forse sufficiente?

Poi, qualche anno fa, ho iniziato a tornare al mio passato, nella mia mente e in ciò che faccio. Credo che questa urgenza di riflettere sul passato sia avvertita da tanti che, una volta raggiunta la piena età adulta, sentono quasi con sorpresa che il carico della vita già vissuta è più pesante di quello della vita che ancora rimane.

Spesso ripenso alla mia infanzia, ai miei genitori e ai miei nonni, e guardo le foto che ho scattato io o che hanno scattato altri quando facevo ciò che amavo fare. Respiro quei ricordi, che sono per lo più allegri; non c'è bisogno di ricordare ciò che non vogliamo ricordare.

E la mia vita ora è fatta meno di momenti che svolazzano nell'aria, di eventi che non rimarranno, e più di un continuum di vita che è iniziato con i miei antenati, con la mia famiglia, con i miei sogni, alcuni dei quali ho realizzato e altri devono ancora essere realizzati o non lo saranno mai.

Scatto foto sulle quali ritorno e rifletto, scrivo i miei pensieri. Il solo esercizio di riflettere sul vissuto e sul sogno, su ciò che vedo, penso, immagino o fantastico, rende la mia esistenza più ricca di significato di quanto non fosse prima.
Questo perché quando l’occhio vuole anche testimoniare e non solo far passare il tempo, la vita si arricchisce, i sensi si acuiscono, le percezioni si affilano, c'è una distanza tra noi e gli eventi che li rende meno fastidiosi, meno noiosi, più divertenti, più degni di racconto.
Il dizionario è diventato un amico perduto che è tornato a casa. Nei miei quaderni conservo parole, modi di descrivere persone e fatti, foto e film che mi fanno provare qualcosa che intendo riprodurre o a cui mi ispiro.

James Salter, uno dei miei saggisti preferiti, ha scritto:

Latente in me, immagino, c'è sempre stata la convinzione che la scrittura fosse più grande di altre cose, o almeno si sarebbe dimostrata più grande alla fine.
Chiamatela un'illusione se volete, ma dentro di me c'era la convinzione che qualsiasi cosa facessimo, le cose che si dicevano, le albe, le città, le vite, tutto questo doveva essere messo insieme, trasformato in pagine, o rischiava di non esistere, di non essere mai stato.
Arriva un momento in cui ti rendi conto che tutto è un sogno, e solo le cose conservate per iscritto hanno la possibilità di essere reali.

Sono ancora un nessuno—chi non lo è nel grande schema delle cose—ma un nessuno che sente ora di lasciarsi alle spalle qualcosa di più autentico.