Next to the stairs

English

When I happen to spend some time in Parma, I soon find myself immersed in the world of my childhood, my youth, and part of my adult life. I get on my bicycle and enjoy riding along the same streets I rode when I was younger, breathing in the smell of the same plants, turning my eyes toward the same buildings that shaded my walks twenty and thirty years ago.

Of every street corner, I retain a memory; every soccer field brings to mind a game, a crooked kicked at the ball, or the hope of a victory; every square brings to mind an episode, a feeling, an impatience. But they are episodes, flare-ups; there is no continuity in the memory.

When I was in middle school, a girl a year younger than me waited every day for my arrival at school by the side of the staircase leading to the upper floors. She had light, long hair, wore a parting on one side, and was always in the company of a friend who looked like her but, unlike her, wore glasses. That was why I could tell them apart. This girl, the one without glasses, had told me, or perhaps someone else had informed me of the facts, that she had fallen head over heels for me. It would have been hard to believe if I had not seen her elbowing her friend every morning with watery eyes and the typical smile of someone who has won some serious money at the casino.

I still saw myself as a half-child, more a castrato than a baritone. But I had instead gone, in the space of a year or so, from the beardless, pudgy consistency of a smallish, chubby little fellow to the rocky heights of a scrawny, lanky little boy with clavicles that seemed ready, at the first sudden movement—I don't know, a turn, a throw of a ball—to puncture skin stretched by that first life-altering flood of testosterone.

I remember her, this beau of mine, more than fair in appearance: a nice smile, a good figure, an intriguing look. Besides, being appreciated is always a joy, so I also happened to find her to be of excellent personality and character.

If the same situation had presented itself to me today, I would indeed have introduced myself and looked her in the eye at the first show of interest, and maybe not even waited for that, got her entertained with words about auteur movies, the latest book I had read, a trip I was planning to take. Then coffee, maybe an aperitivo, a few sailors’ promises to force her hand.

Instead, I was shy, and in those confused early years of adolescence, I had found it too tiring and uncomfortable to talk to her and expose myself, though her not-so-subtle interest invited me to live in the immediacy of the moment. I am talking about teenage affairs, of course, but you have to start somewhere.

When I pass by my middle school or meet some old classmates, that girl comes to mind. It is curious. I think it's a kind of bitterness for not having done or said something, an "I'm interested" or a "no, thanks," but still something, instead of sheepishly witnessing someone else's assertive maneuvering. It's not her, it's me.

I seem to remember that a couple of years later, after she finished middle school, she became interested in a friend of mine—I don't blame her, she had to get over me somehow. One pope dies, another pope is made, or something like that.

Perhaps just when this girl had finally made up her mind to be interested in another—only women whose devotion makes them smell of holiness insist ceaselessly and endlessly in prayer—another young girl had come forward. But she too, again because of my reduced life impetus in those days, had fared poorly, although she had even called me at home to express her interest in me. At the time, her enthusiasm had caused me some slight discomfort; today I would find it very attractive—I had not yet made my own the rule of conduct that says compliments are always answered with at least a “thank you”.

I wonder why these episodes come back to me. Years of schooling, studies, worries, and joys, and sometimes what comes back to me is a girl with whom I had gone no further than a squeaky hello caught in my throat. Or a phone call I received at home that I barely remember who was on the other end, a run during a soccer training session like a thousand others, a five-minute chat with the inorganic chemistry professor from my college years whom I met by chance years after my studies were over as I was riding my bicycle to the city center.

And then I happen to think, when a worry or regret irritates me or puts me in a bad mood, whether it, too, will go away into the nothingness punctuated by the few episodes I still remember that are my past years. Or if, before it is lost in nothingness, that worry or regret will change me a little, give me material for some story, some idea, some new impatience.


Italiano

Quando mi capita di passare un po' di tempo a Parma, presto mi ritrovo immerso nel mondo della mia infanzia, della mia giovinezza e di parte della mia vita adulta. Salgo in bicicletta e mi piace percorrere le stesse strade che percorrevo quando ero più giovane, respirare l'odore delle stesse piante, volgere lo sguardo verso gli stessi edifici che ombreggiavano le mie passeggiate di venti e trent'anni fa.

Di ogni angolo di strada conservo un ricordo; ogni campo di calcio mi fa tornare alla mente una partita, un tiro in porta sgangherato o la speranza di una vittoria; ogni piazza mi richiama un episodio, un sentimento, un'impazienza. Ma sono episodi, fiammate, non c’è continuità nel ricordo.

Quando frequentavo le scuole medie, una ragazza più giovane di me di un anno, aspettava ogni giorno il mio arrivo a scuola a lato della scala che conduceva ai piani superiori. Aveva i capelli chiari e lunghi, portava la riga da una parte, ed era sempre in compagnia di un’amica che le assomigliava, ma che, al contrario di lei, portava gli occhiali. Per questo riuscivo a distinguerle. Questa ragazza, senza occhiali, mi aveva confidato, o forse qualcun altro mi aveva edotto dei fatti, di aver perso la testa per me. Sarebbe stato difficile crederci se non l'avessi vista dare di gomito alla sua amica ogni mattina con occhi acquosi e il tipico sorriso di chi ha vinto dei bei soldi al casinò. Mi vedevo ancora come un mezzo bambino, più castrato che baritono, ma ero invece passato, nel giro di un anno o poco più, dall’imberbe e pingue consistenza di un tipetto piccolo di statura e cicciottello alle alture scogliose di ragazzotto magro e allampanato con clavicole che sembravano pronte, al primo movimento improvviso—non so, una giravolta, il lancio di una palla—a forare la pelle stirata da quella prima terrificante inondazione di testosterone che sconvolge la vita di un uomo.

Me la ricordo, questa mia spasimante, più che discreta nell’aspetto: un bel sorriso, un buon fisico, uno sguardo intrigante, di certo non da tonta. E poi, dato che piacere fa sempre piacere, la trovavo anche di eccellente personalità e carattere.

Se la stessa situazione mi si fosse presentata oggi, mi sarei di certo presentato, l’avrei guardata negli occhi alla prima dimostrazione d'interesse e forse non avrei nemmeno aspettato quella, l’avrei intontita con chiacchiere sul cinema d’autore, l’ultimo libro che avevo letto, un viaggio che avevo in progetto di fare. Poi un caffè, magari un aperitivo, qualche promessa da marinaio per forzare la mano.

Invece ero timido, e in quei primi anni confusi di adolescenza mi era risultato troppo faticoso e scomodo parlarle ed espormi, nonostante il suo interesse non certo discreto mi invitasse a vivere l’immediatezza del momento. Parlo di vicende di ragazzini, ben inteso, ma da qualche parte bisogna pur iniziare. 

Quando mi capita di passare davanti alla mia scuola media o d'incontrare qualche vecchio compagno di classe, quella ragazza mi torna in mente. Penso che sia una sorta di amarezza per non aver fatto o detto qualcosa, un “mi interessa” o un “no, grazie”, ma comunque qualcosa, invece di assistere con ovina timidezza alle decise manovre di qualcun altro. Non è lei l’oggetto del rimpianto, sono io.
Mi sembra di ricordare che un paio di anni dopo, finite le scuole medie, si fosse interessata a un amico—non ne faccio a lei una colpa, doveva pur dimenticarmi in qualche modo. Morto un papa se ne fa un altro, o qualcosa del genere.

Qualche tempo dopo, forse proprio quando questa ragazza si era finalmente decisa a interessarsi a un altro—solo le donne la cui devozione le fa odorare di santità insistono senza posa e senza fine nella preghiera—si era fatta avanti un'altra giovane ragazza. Ma anche a lei, sempre a causa del mio ridotto slancio vitale di quei tempi, era andata male, sebbene mi avesse persino telefonato a casa per esprimere il suo interesse. Allora il suo entusiasmo mi aveva messo in leggera difficoltà; oggi lo troverei molto attraente—non avevo ancora fatta mia la regola di comportamento che dice che ai complimenti sempre si risponde con almeno un “grazie”.

Mi domando perché mi tornino in mente questi episodi. Anni di scuola, di studi, di preoccupazioni e di gioie e a volte ciò che mi torna in mente è una ragazza con la quale non ero andato più in là di un ciao strozzato in gola. O una telefonata ricevuta a casa che a momenti nemmeno mi ricordo chi me l’avesse fatta, una corsa durante un allenamento come mille altri, una chiacchierata di cinque minuti con il professore di chimica inorganica dei miei anni d’università incontrato per caso anni dopo la fine dei miei studi mentre in bicicletta mi dirigevo verso il centro della città.

E allora mi capita di pensare, quando una preoccupazione o un rimpianto mi irrita o mette di mal umore, se anche questa se ne andrà nel nulla punteggiato da pochi episodi dei quali ho ancora memoria che sono i miei anni passati. O se, prima di perdersi nel nulla, quella preoccupazione o rimpianto un po’ mi cambierà, mi darà materiale per qualche racconto, qualche idea, qualche nuova impazienza.