Ideology

English

I admit that there are times when I get little sleep at night.

Perhaps the longing for new adventures, new explorations, and new desires to create or fulfill keep me awake; rarely are they worries or fears.

On these restless nights, I find it easy to reach out and grab one of the many books I keep beside me. That way, I try to engage my mind with reading instead of twisting one way or the other worrying about the turmoil that will go away with the first light of day.

When I read, I am in the habit of paying attention to words I don't know or to others I read and use, but when it comes down to it, I cannot handle them with the dexterity I would like.
A few days ago, while reading between two and three am the book in which Pope John Paul II recounts his years as a bishop, my eye fell on the word "ideology"—reference was made to the “strong thoughts” of the last century—which the dictionary defines, in the political, religious and social context, as the "complex of theoretical assumptions and ideal ends [...] of a political, social, or religious movement."

The same dictionary says that the term ideology can be used derogatorily to refer to the "complex of abstract ideas, without correspondence in reality, or mystifying and propagandistic ideas, to which an objective and pragmatic view of political, economic and social reality is opposed."

Once I read this last definition, I got to reflecting on how thinking about ourselves, life and the world is more ideological than pragmatic, more abstract than empirical, and more reassuring in that it is fixed in time than disquieting once we realize how much ourselves, our personalities, passions, and desires change from one day to the next, one event to the next, one people we meet to the next.

How many times have we told ourselves that "that's just the way we are," that we are lazy, that we have a short fuse, that going to the gym doesn't work for us and we are therefore bound to be tired and out of shape, that we will never be able to find a date who we like and who likes us. And our flaws, or at least the ones we attribute to ourselves because we all have a calling for the cilice and penance to some extent, and others that some school teacher 40 years ago or one of our parents maliciously pointed out to us in a moment of frustration or tiredness, come over time to intertwine with the very tissues of our bodies, limiting us, bringing us down, leading us to a fossilized vision of ourselves and our existence. A vision in which no one changes and no one moves, there are great openings for some people and depressing little rooms for others, it is unclear whether the assignment is by blood or money, but in any case it cannot be changed.

On the other hand, the most clever among us convince themselves, always ideologically, that is, with little corroboration in the reality of things or events, that they have an edge, that they are destined for great things, that they have the qualities necessary to impose themselves on the world. And often this confidence, this flair, pays off.

If we were to think about ourselves with more detachment and pragmatism, with more confidence and less pity, we would realize that we don't always have the short fuse, but mostly when we are tired; that it's not that we don't like to work out, in fact, a few years ago, when a couple of friends now struggling with family quarrels were working out with us, it was easy to put on our sweatpants and go out for a run; that it's true that we haven't had any major flings in a while, but a few days ago we noticed the lively eyes and interested chatter of the new employee at the coffee shop down the street.

A less ideological view of ourselves is inherently a more accurate view of reality, one that neither ignores natural inclinations nor considers them a manifest destiny. And it is also more optimistic: it starts from something good to expand it, make it stronger or more frequent.


Italiano

Confesso che in certi periodi mi capita di dormire poco la notte

Forse è il desiderio di nuove avventure, nuove esplorazioni, nuovi desideri da creare o da esaudire che mi fa stare sveglio; raramente sono preoccupazioni o paure.

In queste notti agitate, mi viene facile allungare la mano e prendere in mano uno dei tanti libri che tengo accanto a me. Così, cerco d’impegnare la mia mente con la lettura invece di girarmi da una parte o dall'altra nel letto crucciandomi con turbolenze che se ne andranno con le prime luci del giorno.

Quando leggo, sono solito prestare attenzione alle parole che non conosco o ad altre che leggo e uso, ma alla fine dei conti non riesco a maneggiare con la destrezza che mi piacerebbe avere.
Qualche giorno fa, leggendo tra le due e le tre di notte il libro in cui Papa Giovanni Paolo II racconta i suoi anni da vescovo, mi è caduto l'occhio sulla parola "ideologia"— si parlava dei “pensieri forti” del secolo scorso—che il dizionario Treccani definisce, in ambito politico, religioso e sociale, come il "complesso dei presupposti teorici e dei fini ideali [...] di un partito, di un movimento politico, sociale, religioso".
Lo stesso dizionario riporta che il termine ideologia può essere usato in modo dispregiativo per riferirsi al “complesso di idee astratte, senza riscontro nella realtà, o mistificatorie e propagandistiche, cui viene opposta una visione obiettiva e pragmatica della realtà politica, economica e sociale”.

Una volta letta quest'ultima definizione, mi sono messo a pensare, sempre tra le due e le tre di notte di qualche giorno fa, a quanto il pensiero su noi stessi, sulla vita e sul mondo sia più ideologico che pragmatico, più astratto che empirico, più rassicurante in quanto fisso nel tempo che inquieto una volta che ci rendiamo conto di quanto noi, la nostra personalità, le nostre passioni e i nostri desideri cambino da un giorno all'altro, da una vicenda all’altra, una persona conosciuta all'altra.
Quante volte ci siamo detti che "siamo fatti così", che siamo pigri, che abbiamo la miccia corta, che andare in palestra non ci piace e siamo quindi destinati a essere stanchi e fuori forma, che non riusciremo mai a trovare una ragazza che ci piaccia e alla quale piacciamo. E i nostri difetti, o almeno quelli che ci attribuiamo perché un po' tutti abbiamo la vocazione per il cilicio e la penitenza, e altri che qualche insegnante di scuola di quarant’anni fa o uno dei nostri genitori ci ha malignamente fatto notare in un momento di frustrazione o di stanchezza, vengono nel tempo a intrecciarsi con i tessuti stessi del nostro corpo, limitandoci, abbattendoci, portandoci a una visione fossilizzata di noi e dell’esistenza. Una visione nella quale nessuno cambia e nessuno si muove, ci sono grandi spazi per alcune persone e deprimenti stambugi per altre, non si sa bene se l’assegnazione avvenga per sangue o per denari, ma comunque non si può cambiare, così è.
I più abili tra noi si convincono invece, sempre ideologicamente, cioè con pochi riscontri nella realtà delle cose o degli eventi, di avere una marcia in più, di essere destinati a grandi cose, di avere le qualità necessarie per imporsi sul mondo. E spesso questa fiducia, questo estro paga.

Se ci mettessimo però a pensare a noi stessi con più distacco e pragmatismo, con più fiducia e meno spirito di commiserazione, ci accorgeremmo che la miccia corta non l’abbiamo sempre, ma perlopiù quando siamo stanchi; che non è che allenarci non ci piaccia, anzi, qualche anno fa, quando si allenavano con noi un paio di amici ora alle prese con beghe familiari, ci riusciva facile metterci in tuta e uscire per una corsa; che è vero che è da un po’ di tempo che non abbiamo grandi avventure, ma qualche giorno fa abbiamo comunque notato lo sguardo vivace e la chiacchiera interessata della nuova dipendente del bar sotto casa.
Una visione meno ideologica di noi stessi è intrinsecamente una visione più accurata della realtà, che non ignora le inclinazioni naturali né le considera un destino manifesto. Ed è anche più ottimista: parte da qualcosa di buono per ampliarlo, renderlo più forte o più frequente.