Things change, sometimes

A small village near Cali, Colombia
 
 

English

A few years ago, I wrote an email to a girlfriend in which I offered some reflections on my life experience after living abroad for, at the time, five or six years.
Since I wrote the letter, those years of living abroad have doubled in size, but most of the feelings have remained the same, although nostalgia, which took the form of longing and subtle discomfort at the time, has now taken the form of a warm smile.
This change from longing and discomfort to a reassuring and serene appreciation of what I had (and still have), I suspect, is mostly due to time (not a surprise!), and the firm decision I made one day to live my new life abroad fully and freely. I've seen too many people move to another country, but live only physically there: in their minds and souls, they were still living in their old battlefields.

I have rewritten parts of the emails, but the spirit of what I wrote at the time is still fully present in the letter that I posted here below.

I moved from Italy over 5 years ago, leaving behind my girlfriend, my soccer career (not really a career, but a fairly lucrative second job that paid me much more than the first), friends, family, and aging grandparents.
I don't know why I did it, I don't remember a proper cost-benefit analysis—the one you do sitting down with pros written on the left side and cons on the right one of a lonely piece of paper—, or a discussion with friends or colleagues. Maybe there were honest conversations about my intentions—those in which thoughts and plans are measured with the jeweler's scale rather than with the shovel—but I don't remember them.
I didn't think moving to the U.S. was for my scientific career, even though that's what I told others. Perhaps I didn't even think it was the best choice, but I felt it was the right choice. It was like somewhere, more in my stomach than in my mind, I felt it; don't get me wrong, not really a sense of excitement, just one of those feelings that's hard to define where they come from, the feeling that I had to do it, that it was the obvious next step: to try to achieve something new, something different, something more. To go beyond the mundane existence of doing today what was done yesterday and the day before.

There are challenges when starting a new life. You see the life of others change in ways that won't allow you or them to rewind the tape. Close friends are not so close anymore: you don't even remember what you used to talk about with them.
But I've learned to move through the world with more confidence, with a more purposeful stride. I have stories to tell that are quite entertaining, I've become a proper man, and I've certainly crossed the shadow line that Joseph Conrad spoke.

I often reflect on my decision and don't know if I made the right choice. Like anyone else who's gotten a little older, a little more informed about the world, I'd do a lot of things differently: I'd have clearer goals, I'd cut sooner the umbilical cord with my previous life, I'd more readily jump into the fray with my eye on the new life instead of carrying on with my head on one side and romance on another.
But would the end result be any different? Would I feel now, as I write this, better, worse, more or less accomplished if I had stayed there instead of moving here? Of if I had done things differently once I was here? Would all those sometimes sleepless and often lonely nights have been worth it? And worth what, then?

It would be reassuring to be able to say: yes, it was worth it. It was worth changing, leaving the past behind, building a new existence. But we all deal in the course of our lives with ambiguity, unanswered questions, and the occasional crisis, heartbreak from those we want and don't want us, regret, and messy situations. We don’t have to reassure ourselves, we should always be reassured.
I don't know if it was a good decision. I go back to where I was born and raised, and it's like nothing has changed and everything has changed at the same time.
I visit the garage where many items from my previous life are stored; books many books. And the occasional refrigerator. Were all the hours spent reading instead of looking around worth it? If I were to go back, of course, I tell myself that I would spend far less time reading and reflecting and looking inward, but that's probably because I've already done all that.

On a lighter note, I get the feeling that the biggest problem with existence is anticipation. When it's said and done, one moves on.
I visited my former lab, and a couple of people I hadn't seen in years greeted me as if they had seen me yesterday. But that's just the way it is, especially these days. I used to feel that my presence was meaningful at work, but then, like everyone else, I realized that the cemetery is full of indispensable people. The world always moves on.


Italiano

Qualche anno fa, scrissi un'e-mail a una fidanzata nella quale esponevo alcune riflessioni sulla mia esperienza di vita all'estero dopo, all'epoca, essermi trasferito cinque o sei anni prima.
Da quando ho scritto la lettera, quegli anni di vita all'estero sono raddoppiati, ma la maggior parte dei sentimenti e delle analisi sono rimaste gli stessi, anche se la nostalgia, che allora aveva preso la forma di rimpianto e sottile disagio, ora ha preso la forma di un sorriso.
Questo cambiamento da rimpianto e disagio a un rassicurante e sereno apprezzamento di ciò che avevo (e ho ancora), sospetto sia dovuto principalmente al tempo (non è una sorpresa!), e alla ferma decisione che ho preso un giorno di vivere pienamente e liberamente la mia nuova vita all'estero. Ho visto troppe persone trasferirsi in un altro paese, ma vivere solo fisicamente lì: nelle loro menti e anime, vivevano ancora nei loro vecchi campi di battaglia.

Ho riscritto parti delle email, ma lo spirito di ciò che ho scritto all'epoca è ancora pienamente presente nella lettera che riporto qua sotto.

Mi sono trasferito dall'Italia più di cinque anni fa, lasciandomi alle spalle la mia ragazza, la mia carriera di calciatore (non proprio una carriera, ma un secondo lavoro abbastanza redditizio che mi pagava molto più del primo), amici, famiglia e nonni anziani.

Non so perché l'ho fatto, non ricordo una vera e propria analisi costi-benefici—quella che si fa seduti a un tavolo scrivendo i pro sul lato sinistro e i contro su quello destro di un foglio solitario—, né una discussione con amici o colleghi.
Forse ci sono state conversazioni franche sulle mie intenzioni—quelle in cui i pensieri e i piani si misurano più con la scala del gioielliere che con il badile—ma non le ricordo. Non pensavo che trasferirmi negli Stati Uniti servisse per la mia carriera scientifica, anche se è quello che dicevo agli altri. Forse non pensavo nemmeno che fosse la scelta migliore, ma sentivo che era la scelta giusta. Era come se da qualche parte, più nello stomaco che nella mente, lo sentissi; non fraintendetermi, non proprio un senso di euforia, solo una di quelle sensazioni che è difficile definire da dove vengono, la sensazione di doverlo fare, che era il passo successivo ovvio: cercare di realizzare qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso, qualcosa di più. Andare oltre la banale esistenza di fare oggi quello che è stato fatto ieri e il giorno prima.

Ci sono sempre delle difficoltà quando si inizia una nuova esperienza che comporta abbondare tanto di quello che si ha. Vedi la vita degli altri cambiare in modi che non permettono né a te né a loro di riavvolgere il nastro. Gli amici stretti non sono più così stretti: non ti ricordi nemmeno di cosa parlassi con loro.
Ma ho imparato a muovermi nel mondo con più fiducia, con un passo più deciso. Ho delle storie da raccontare che mi dicono essere piuttosto divertenti, sono diventato credo un uomo fatto e finito, e ho certamente superato la linea d'ombra di cui parlava Joseph Conrad.

Spesso rifletto sulla mia decisione e non so dire se avessi fatto la scelta giusta. Come chiunque altro sia diventato un po' più vecchio, un po' più informato sul mondo, farei molte cose in modo diverso: avrei obiettivi più chiari, taglierei prima il cordone ombelicale con la mia vita precedente, mi butterei più facilmente nella mischia con gli occhi sulla nuova vita invece di continuare con la testa da una parte e gli interessi sentimentali dall'altra.
Ma il risultato finale sarebbe stato diverso? Mi sentirei ora, mentre scrivo questo, meglio, peggio, più o meno realizzato se fossi rimasto lì invece di trasferirmi qui? Se avessi fatto le cose diversamente una volta negli Stati Uniti? Sarebbe valse la pena passare notti a volte insonni e spesso solitarie? E valsa la pena per cosa, poi?

Sarebbe rassicurante poter dire: sì, ne è valsa la pena. Valsa la pena cambiare, lasciarsi alle spalle parte del passato, costruire una nuova esistenza. Ma tutti noi abbiamo a che fare nel corso della nostra vita con l'ambiguità, le domande senza risposta e le gli occasionali problemi più grandi di noi, il mal di cuore che ci dà chi vorremmo ma non ci vuole, il rimpianto e le situazioni confuse. Non dobbiamo rassicurare noi stessi, dovremmo sempre essere rassicurati.
Non so se sia stata una buona decisione. Torno dove sono nato e cresciuto, ed è come se nulla fosse cambiato e tutto fosse cambiato allo stesso tempo.
Visito il garage dove sono conservati molti oggetti della mia vita precedente; libri, molti libri. E l'occasionale frigorifero. Sono valse tutte le ore passate a leggere invece che a guardarsi intorno? Se dovessi tornare indietro, ovviamente, mi dico che passerei molto meno tempo a leggere e riflettere e guardarmi dentro, ma probabilmente è perché l’ho già fatto a sufficienza.

Su una nota più leggera, ho la sensazione che il più grande problema dell'esistenza sia l'anticipazione. Quando si è detto e fatto, si va avanti.
Ho visitato il mio vecchio laboratorio, e un paio di persone che non vedevo da anni mi hanno salutato come se mi avessero visto ieri. Ma è così, soprattutto di questi tempi mi pare. Una volta sentivo che la mia presenza era importante al lavoro, ma poi, come tutti, ho capito che il cimitero è pieno di persone indispensabili. Il mondo va sempre avanti.